Il Consiglio Nazionale Forense italiano (CNF) subisce l’ennesima doccia fredda in materia di iscrizione all’albo nazionale da parte di avvocati abilitati presso altri Paesi dell’Unione.

Secondo la Corte di Giustizia Europa (CGUE), infatti, non può costituire una pratica abusiva, come invece il CNF da anni sostiene già senza successo presso i tribunali italiani, il fatto che il cittadino italiano si rechi presso un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e faccia ritorno successivamente in Italia per esercitarvi la professione con il titolo professionale ottenuto.

La Corte, con la sentenza del 17 luglio 2014, richiama pedissequamente le lucide conclusioni rassegnate dall’avvocato generale Nils Wahl il quale già in aprile, senza tanti giri di parole, ha sostenuto che la scelta del cittadino italiano di acquisire il titolo di avvocato di un altro Stato membro allo scopo di beneficiare di una normativa più favorevole non costituisce un abuso del diritto bensì un diritto (leggi qui). L’articolo 3 della direttiva 98/5/CE intende facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica e gli Stati Membri (nel caso specifico l’Italia) non possono dunque rifiutare, con la motivazione dell’abuso del diritto, l’iscrizione all’albo degli avvocati.

Si chiude così, con tutta probabilità in via definitiva, l’ottusa scelta italiana di impedire o di regolare con logiche spesso elitarie e lobbiste l’accesso alla professione forense nei confronti di cittadini che decidano di esercitare anche in Italia la professione di avvocato, pur avendo superato gli esami universitari richiesti da altro Paese membro dell’Unione.

Di seguito il testo completo della sentenza in lingua italiana

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